Nel corso delle ultime settimane i giornali sono stati ricchi di notizie sulle misure attivate da molti soggetti per far fronte alla crisi economica e finanziaria in corso al livello internazionale. In Italia sembrerebbe che le azioni proposte o effettivamente messe in atto riguardino soprattutto l’assistenza ai “poveri”.
Da un lato il governo nazionale e le amministrazioni regionali e locali hanno identificato e lanciato iniziative (spesso di dubbia efficacia) per integrare i redditi dei meno abbienti; dall’altro misure, caratterizzate dallo stesso obiettivo sono state attivate da alcune diocesi e persino da alcune associazioni di lavoratori.
Le azioni sono molto diverse. Tutte però sembrano avere al proprio centro due elementi:
- un orientamento a non influire sui processi che generano la povertà e su quelli che generano i fenomeni di crisi economica;
- la mancanza di capacità di discriminazione e di discernimento.
L’esempio più palese di questo probabilmente è la “Social Card”: destinata a tutte le persone con il reddito inferiore a una soglia definita al livello nazionale, non è in grado né di tener conto delle differenze territoriali esistenti nel paese (così che la maggior parte delle “carte” è stata distribuita nei luoghi in cui il costo della vita è inferiore e in cui probabilmente una parte non irrilevante dell’economia è sofferta), né delle diverse maniere in cui i cittadini sono toccati dalla “crisi economica”.
La conseguenza della mancanza di discriminazione e di discernimento comportano non soltanto un impatto nullo delle misure assunte sulle dinamiche economiche e sociali connesse (non producendo né effetti sul rapporto tra domanda e offerta di beni, né sul consolidamento delle reti sociali che nei fatti “gestiscono” le crisi, né tantomeno sull’attivazione di processi che possano favorire una effettiva ripresa di forme di sviluppo del territorio), ma anche un loro impatto assai ridotto sui soggetti alla cui assistenza sono dedicate (l’aiuto offerto infatti è irrilevante rispetto alle effettive necessità di alcuni di essi, mentre per alcuni che potrebbero averne vantaggi è assolutamente impossibile l’accesso).
Sembrerebbe che nel rispondere alla crisi e alle emergenze in atto, si sia rinunciato – da parte della maggior parte dei soggetti coinvolti – a prendere sul serio il patrimonio di ricerca esistente sulle politiche e le misure di sviluppo locale da un lato e sulle politiche di lotta alla povertà e all’esclusione sociale dall’altro. La ricerca su questi due ambiti ha infatti messo in evidenza come soltanto in pochi casi un accesso “tout court” alle risorse finanziarie e o a una generica “assistenza” produca effetti di riduzione della povertà e di mobilitazione di processi di cambiamento.
lunedì 19 gennaio 2009
Politiche, povertà e sviluppo.
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