Da qualche tempo sembra che in Italia sia tornato di moda lo sgombero degli insediamenti abusivi (soprattutto di immigrati e di “nomadi”) che sorgono dentro e ai margini della città.
E’ strano, perché di sgombero nella letteratura internazionale e nelle esperienze condotte in tutto il mondo sulla riqualificazione urbana non si parla più da anni. Spesso lo si pratica, ma in silenzio.
La prima caratteristica di una politica di riqualificazione fondata sullo “sgombero” è la totale inefficacia: lo spazio che era occupato dalle baracche se non è occupato e utilizzato per qualcos’altro torna in breve ad essere occupato. E’ successo a Bologna e inizia ad accadere anche a Roma. Prima però era successo in centinaia di città del mondo.
La seconda caratteristica di una politica di questo genere è che genera nuovo degrado e radicalizza i problemi esistenti: gli occupanti irregolari del territorio assumono come un dato il fatto che prima o poi saranno sgomberati e quindi non curano il luogo in cui sono. Una politica di sgomberi implica:
- aree di territorio urbano sempre più degradate, con abitazioni sempre più fatiscenti e condizioni igieniche sempre peggiori;
- una condizione di conflitto costante tra gli abitanti degli insediamenti informali e quelli della “città formale”;
- la presenza nelle aree di insediamento di persone sempre meno “integrate” nella società circostante (persone che proprio la condizione di irregolarità e marginalità porta ad essere in modo frequente sia gli autori sia le vittime di reati);
- una condizione di insicurezza reale e percepita per tutti i soggetti coinvolti e spesso il vero e proprio abbandono di pezzi di territorio, che è oggetto di processi di stigmatizzazione.
In Brasile ci sono casi esemplari: nello stato di San Paolo il mantenimento di una politica orientata a liberare il territorio dagli insediamenti illegali si è tradotta nel fatto che le baraccopoli sono sempre rimaste tali e sono, in maniera sempre maggiore, uscite dal controllo pubblico.
La terza caratteristica di una politica fondata sugli sgomberi è che tende a violare diritti umani fondamentali. Primo tra tutti quello a un “rifugio” (che è stato sancito nel Summit delle Nazioni Unite che si è tenuto a Istanbul nel 1996, la cui dichiarazione finale è stata ratificata dall’Italia). Sono abbastanza poche le immagini pubblicate degli sgomberi di insediamenti informali: forse perché a nessuno piace di vedere gli occhi spaventati dei bambini che, insieme agli adulti, vedono la loro vita resa ancora più precaria.
Eppure negli ultimi due decenni sono state sperimentate altre soluzioni, in genere più efficaci. Quasi tutte sono fondate sul principio della regolarizzazione e della legalizzazione, . Per riportare un insediamento e i suoi abitanti nella città il primo passo è quello di riconoscerlo.
Un secondo elemento che le caratterizza è quello dell’accoglienza, ma qui si apre un altro capitolo, sulla trasformazione urbana (e degli edifici), sull’uso degli spazi e sulle grandi difficoltà degli interventi fondati sulla costruzione di case popolari.
Un terzo, è quello del discernimento: non tutti i territori sono uguali e neanche tutti gli abitanti degli insediamenti informali.
Un altro è quello della partecipazione. Anche a Roma ci sono esempi recenti: fino a qualche tempo fa il “villaggio dei pescatori” di Ostia era in condizioni peggiori di molti slum del resto del mondo, ora dopo la formazione di un comitato degli abitanti, le cose stanno cambiando in modo evidente.
Un sito su questa questione: www.cohre.org/ e uno che racconta di una esperienza. http://www.fna.org.br/seminario/pdfs/Tema(3)Palestra%20(3).pdf
venerdì 25 aprile 2008
Sgomberi e riqualificazione delle città
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