La grande maggioranza dei servizi assicurati dal settore pubblico, per loro natura, sono direttamente dipendenti dalla qualità, dalla preparazione, dalle motivazioni, dalla attitudine comunicativa e di ascolto o dallo spirito di iniziativa del personale che li eroga. Gli operatori della pubblica amministrazione rappresentano, nel loro complesso, il principale bacino di “intelligenza”, di capacità e di conoscenza di cui il Paese dispone.
Per lungo tempo, questa “centralità” delle risorse umane nella PA è stata, di fatto, negata. Fino agli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, in effetti, sia in sede politica, sia in quella scientifica, era dominante un approccio che coglieva l’amministrazione pubblica come una “struttura giuridico-organizzativa”, una entità, cioè, “de-umanizzata”, guidata da impersonali meccanismi interni, di natura prevalentemente normativa e complessivamente orientata a garantire la propria stabilità nel tempo. In questa prospettiva, il personale appariva una variabile dipendente, da imbrigliare in un reticolo di compiti e di ruoli predefiniti (che trovava concreta espressione nel cosiddetto “mansionario”) dai quali non doveva discostarsi.
Quando si incominciò a comprendere che tale approccio stava portando la pubblica amministrazione ai margini di un mondo in crescente trasformazione, quella che prima era definita, con palesi intenti riduzionistici, la “componente umana” dell’organizzazione, nel volgere di pochi anni, iniziò ad essere riconosciuta come un “capitale” da investire per consentire alle amministrazioni di modernizzarsi.
La “rivoluzione informatica” degli anni ’90 ha ulteriormente sparigliato le carte. Vista solo come una “rivoluzione tecnologica” e non come espressione di un più sotterraneo e vasto passaggio di natura sociale, essa è stata gestita e “assorbita” dalla PA in modo perlopiù epidermico. Questa interpretazione riduttiva ha avuto un duplice effetto. Da una parte, ha nuovamente spostato l’asse dell’attenzione sulla “struttura” (in questo caso, tecnologica o, al massimo, tecno-organizzativa), dando l’illusione che i computer, di per sé, fossero sufficienti per sanare i guai della pubblica amministrazione. Dall’altra – e conseguentemente –, ha fatto ulteriormente slittare sullo sfondo la dimensione delle risorse umane, ponendola in una posizione ancillare e funzionalmente asservita a quella tecnologica.
Il complesso avvicendarsi di forze tra loro contrastanti ha fortemente messo sotto stress l’amministrazione italiana; tant’è che, in essa, si trovano oggi a convivere le regole “meccanicistiche” delle organizzazioni “pre-informatiche” con forme altamente tecnologizzate e sofisticate di produzione dei servizi. In mezzo, c’è un personale che, sospeso tra i vincoli normativi del passato e le prospettive di sviluppo tecnologico del futuro, incontra non poche difficoltà nel trovare una propria coerente linea di azione. Non è infrequente, infatti, osservare sia nei funzionari, sia nei dirigenti un vero e proprio senso di ansia e spaesamento, che trova il suo fondamento nella crisi dei punti di riferimento tradizionali (come il principio di un’azione orientata rispetto alle norme) e nell’incertezza rispetto agli esiti e ai meccanismi dei processi di trasformazione organizzativa e di innovazione tecnologica in corso.
Questo insieme di tensioni può essere efficacemente affrontato solo ricercando un “riallineamento” tra il cambiamento tecnologico e la valorizzazione delle risorse umane. Tale riallineamento non può avvenire secondo un approccio tecnologicamente deterministico (“prima viene la tecnologia e poi le risorse umane si adatteranno”). Al contrario, come sembrano indicare gli elementi emersi dalla ricerca, esso può realizzarsi solo se si smette di concentrarsi sulle “tecnologie” in sé stesse e si comincia a riflettere seriamente sul “trasferimento tecnologico”, vale a dire su quel complesso processo (tecnico, sociale, cognitivo, affettivo, ecc.) che rende possibile a una tecnologia di “diventare parte” di un sistema di relazioni umane chiamato “organizzazione”.
Un’impostazione simile richiede di riconsiderare l’intero spettro di questioni (dimensione etica, formazione e aggiornamento, pratiche operative, ecc.) che ruotano intorno alla valorizzazione e al rafforzamento del potenziale umano, avendo la capacità di ribaltare i termini del problema. Il punto, infatti, non è sapere quali siano le conoscenze e le capacità di cui il personale deve disporre per utilizzare un insieme di nuove tecnologie; il punto è sapere come integrare le nuove tecnologie nella vita degli operatori, in modo che questi ultimi possano “appropriarsene”, sia individualmente, sia, soprattutto, collettivamente.
La ricerca ha consentito di definire una mappa che comprende 25 fenomeni di ostacolo rilevanti circa la valorizzazione e il rafforzamento del potenziale umano della pubblica amministrazione. In particolare, questi fenomeni possono essere ricondotti a 4 categorie.
1) Difficoltà di valorizzare gli orientamenti al cambiamento e all’innovazione dei funzionari pubblici
- Mancato riconoscimento degli sforzi degli innovatori
- Difficoltà nella gestione degli “oppositori” all’innovazione
- Tendenze all’auto-riproduzione nei processi di reclutamento
- Scarsa capacità di pianificazione strategica
- Carenza di conoscenze circa il rapporto tra elaborazione delle politiche e preparazione del budget
- Diffusione di approcci prescrittivi all’etica pubblica
- Mancato riconoscimento delle conoscenze e delle capacità acquisite
2) Carenze della leadership per la guida dei processi in atto
- Frammentazione della leadership
- Carenza di leadership
- Incerta attribuzione delle responsabilità
- Autopercezione eccessivamente positiva del personale
- Diffusione di forme di “gerarchia disconnessa”
- Scarsa diffusione di una leadership trasformazionale
3) Diffidenza a intraprendere nuovi percorsi e nuove procedure da parte del personale
- Affaticamento da innovazione
- Radicamento della convinzione circa l’impossibilità di agire per l’innovazione
- Basse retribuzioni e assenza di incentivi
- Conflitti intraprofessionali/interprofessionali
- Tendenza a evitare innovazioni per timore dei rischi
- Tendenza dei funzionari a mantenere lo status quo
- Timori di un incremento di carichi di lavoro
4) Difficoltà nella gestione della conoscenza
- Eccessivo ricorso alla segretezza e alla riservatezza
- Mancanza delle capacità di comunicazione e di gestione della conoscenza
- Scarsa capacità di disseminazione
- Scarsa diffusione delle competenze tecnologiche tra i funzionari
- Limitata attenzione all’acquisizione di conoscenze funzionali all’analisi della realtà
sabato 26 luglio 2008
La valorizzazione e il rafforzamento del potenziale umano della PA
Etichette:
amministrazione pubblica,
etica pubblica,
formazione,
funzionari pubblici,
PA
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento