mercoledì 29 ottobre 2008

Visibile e concreto

Come spesso accade nelle riforme italiane, anche nei mutamenti proposti dal Decreto Gelmini si trovano diversi orientamenti.
Uno è quello gattopardesco. Si propone un cambiamento che non cambia nulla nella realtà delle cose: se il problema è la bassa qualità dell’insegnamento è abbastanza evidente che tale bassa qualità non si migliora riducendo gli orari di insegnamento, le opportunità di collaborazione tra i docenti, la formazione richiesta ai docenti stessi e le risorse di cui essi dispongono. Una scuola caratterizzata dalla mancanza di standard di qualità continua a esserne priva; una scuola in cui un problema centrale è la mancanza di continuità didattica continua a non rendere “definitivi” gli insegnanti; una scuola in cui non esiste nessun effettivo sistema di selezione degli insegnanti continua ad esser priva di strumenti di selezione e di valutazione.
Un secondo orientamento è quello di proporre modifiche che sembrano concrete, ma che sono nella realtà astratte, con una evidente confusione tra “visibilità” e concretezza.
I tagli al bilancio, la diminuzione del numero complessivo degli insegnanti, la istituzione della “maestra prevalente” (secondo la nuova formulazione, che però “stranamente” non è stata riportata in nessun concreto emendamento al Decreto Gelmini) sono azioni visibili, ma rischiano di non essere azioni concrete. Di fatto, il Decreto non prevede tempi realistici di attuazione e tanto meno prevede una determinazione delle proposte tale da indirizzare realmente le norme attuative che dovranno essere definite. La stessa riduzione delle risorse disponibili rischia di essere visibile ma non concreta in un paese in cui la norma è quella di sfondare i tetti di spesa (e in cui il Presidente del Consiglio in carica è uno specialista nel produrre nuove spese, magari per rispondere in modo “visibile” a urgenze non considerate nella programmazione.
Un terzo orientamento che si può rilevare è quello che potrebbe essere definito “economicista”. Non è un caso che al decreto abbiano lavorato (forse più del Ministro Gelmini) i Ministri Brunetta e Tremonti: del secondo non c’è neanche bisogno di parlare (la finanza pubblica creativa per risolvere i problemi della crisi dello stato basta a definire il suo approccio), del secondo forse occorre considerare il fatto che le sue proposte sembrano fondate su un approccio all’economia del lavoro sviluppato soprattutto in relazione alla produzione industriale di tipo tradizionale, in cui conoscenze, orientamenti e, più in generale, tutto ciò che non si vede non contano.
Peccato che la scuola e i servizi pubblici siano ambiti nei quali gran parte dei fattori in gioco non si vedono: non è sufficiente che un impiegato pubblico sieda dietro la sua scrivania perché la macchina pubblica funzioni (anzi, negli ultimi due decenni abbiamo spesso osservato come, spesso, per far funzionare un apparato privo di risorse i funzionari abbiano spesso dovuto uscire dai loro uffici, andando direttamente a incontrarne altri, sorpassando le catene burocratiche e gerarchiche o andando a “vedere” cosa avviene realmente nel territorio), così come non basta che un professore lavori nell’orario scolastico: ci si mai chiesti come e quando si preparano le lezioni o come e quando si correggono i lavori degli studenti? O si pensa che si possa fare tutto in classe, proprio come fanno i peggiori tra i professori delle scuole italiane che riducono la lezione alla lettura ad alta voce del libro di testo e alla “chiarificazione” degli eventuali punti del testo che non sono stati compresi dagli alunni?
Non è un caso che invece di iniziare a determinare standard relativi alla prestazione dei servizi si sia cominciato con azioni riguardanti il rispetto degli orari.
Dietro l’approccio adottato dal Decreto Gelmini c’è una conoscenza molto sommaria e una gran voglia di “visibilità”.
Forse allora a questa voglia di visibilità si potrebbe rispondere con la pratica della concretezza, che potrebbe essere fondata sulla realizzazione di iniziative di sperimentazione in cui i problemi realmente esistenti (e osservati da diversi punti di vista dai diversi soggetti presenti nella scuola) sono realmente affrontati alla ricerca di soluzioni praticabili e sostenibili.

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